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L’efficacia probatoria della sentenza penale di patteggiamento nel giudizio civile per il risarcimento del danno

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By patronato2

Uno dei riti con cui può essere definito il procedimento penale è l’applicazione della pena su richiesta
delle parti (artt. 444 e segg. c.p.p) ossia quello che viene comunemente chiamato patteggiamento, che
implica per l’imputato i benefici di cui all’art. 445 c.p.p., e, soprattutto, lo sconto di pena fino a un
terzo, nonché la possibilità di subordinare la richiesta alla sospensione condizionale della pena.
Laddove ricorrano i presupposti di cui all’art. 444 c.p.p. (fra cui quello della misura massima della
pena da applicare, che, diminuita fino a un terzo rispetto alle previsioni del codice penale, non deve
superare i 5 anni), prima della presentazione delle conclusioni nella fase finale dell’udienza
preliminare, o prima dell’apertura del dibattimento se l’udienza preliminare non è stata affatto
celebrata, l’imputato può concordare con il Pubblico Ministero di chiedere al Giudice l’applicazione
della pena in una misura determinata di comune accordo.
Il Giudice è chiamato a tal punto a svolgere un controllo formale sull’accordo (a verificare, in altre
parole, che le parti non abbiano commesso errori di diritto nella qualificazione del fatto, nella
determinazione della pena, ecc.) e, se non ritiene che sia già acquisita l’evidenza dell’innocenza
dell’imputato, ad emettere una sentenza con cui viene ratificato l’accordo intervenuto fra il Pubblico
Ministero e l’imputato, con la conseguente applicazione della pena da loro determinata.
La parte civile (o la persona offesa, se non è ancora intervenuta la costituzione di parte civile) non
può intervenire in alcun modo sulla scelta di patteggiare, e si trova costretta ad agire separatamente,
in sede civile, per la richiesta di risarcimento dei danni.
In quella sede – il procedimento civile – la sentenza di patteggiamento non produce gli stessi effetti
di un provvedimento di condanna emesso a seguito di dibattimento o di giudizio abbreviato (che, a
norma dell’art. 651 c.p.p., hanno efficacia di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del
fatto, della sua illiceità penale, e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso) e così, ad esempio,
un lavoratore che avesse sofferto un danno a seguito di infortunio sul lavoro e che agisse nei
confronti del proprio datore di lavoro potrebbe sentirsi dire dalla difesa di quest’ultimo che il
patteggiamento, intervenuto in sede penale, è del tutto irrilevante ai fini dell’accoglimento della
domanda risarcitoria.
Ma, in verità, non è così. Se è, infatti, pacifico che la pronuncia ex art. 444 c.p.p. sia solo equiparata
ad una sentenza di condanna e, ai sensi dell’art. 445 c.p.p., non spieghi l’efficacia di giudicato nel
procedimento civile, è però altrettanto pacifico che essa costituisca un indiscutibile elemento di prova
per il Giudice civile di merito, il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il
dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe chiesto di essere punito per una sua
insussistente responsabilità ed il Giudice penale abbia accolto la richiesta, anziché proscioglierlo.
Come ricordato precedentemente, a norma dell’art. 444 comma 2 c.p.p. l’applicazione della pena su
richiesta della parte imputata è subordinata al superamento di un vaglio “preliminare” da parte del
Giudice penale, il quale deve in primo luogo verificare di non dover pronunciare, in quanto
emergente dagli atti acquisiti, sentenza di proscioglimento dell’imputato stesso a norma dell’art. 129
c.p.p., ossia perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, per restare alle sole ipotesi
che certamente si ripercuoterebbero in senso negativo sul destino dell’azione civile.
Il riconoscimento insito nella sentenza di patteggiamento (riconoscimento che deriva dalla
valutazione dell’imputato, il quale formula la richiesta di applicazione della pena, ma anche dalla
valutazione del Pubblico Ministero e, soprattutto, del Giudice penale che ritiene di non dover
prosciogliere l’imputato), pertanto, pur non essendo oggetto di statuizione assistita dall’efficacia del
giudicato, è una prova di tipo presuntivo.
In quanto tale, la prova presuntiva ricavata dalla sentenza ex art. 444 c.p.p. può anche essere
esclusiva nel corrispondente giudizio di responsabilità in sede civile laddove i fatti oggetto della
sentenza penale (ad esempio una condotta omissiva del datore di lavoro contestata a titolo di colpa
quale causa di infortunio del lavoratore) siano gli stessi considerati nell’accertamento della
responsabilità civile.
Tanto è vero che, laddove di fronte ad una sentenza irrevocabile ex art. 444 c.p.p. il Giudice civile
ritenga di non dover sposare gli effetti del sopraddetto valore probatorio, dovrà illustrarne i motivi,
incorrendo diversamente, con la sentenza civile, in vizio di motivazione, censurabile in Cassazione.
Questo è l’orientamento assolutamente predominante che scaturisce dalla giurisprudenza di
legittimità (ex plurimis, Cass. Civ., Sez. lav., 22/02/2011, n. 4258; Cass. Civ., Sez. V, 03/12/2010, n.
24587; Cass. Civ., Sez. lav., 09/03/2009, n. 5637; Cass. Civ., Sez. lav., 08/01/2008, n. 132; Cass. Civ.,
Sez. Un., 31/07/2006, n. 17289), a cui si conformano, anche qui in via assolutamente predominante,
le pronunce di merito rese in tema (ad esempio, Tribunale civile di Milano, Sez. VIII,
01/10/2011, nella causa F. S. s.r.l. contro R.C. e altri, Società, 2011, 12, 1475; oppure Tribunale civile
di Trieste nella causa Do.Vl. contro Be.Cr., 24/06/2011, InfoUtet).
Tale quadro, del resto, è perfettamente coerente con il principio, pacifico, per cui il Giudice civile (a
differenza di quello penale) può trarre argomenti di prova da tutti gli elementi in suo possesso,
compresa la sentenza di patteggiamento, oltre che dagli altri documenti che provengano dal
procedimento penale su cui quella sentenza di patteggiamento è andata a formarsi. Nel giudizio
civile, d’altra parte, possono essere utilizzate come indizi anche le dichiarazioni rese, in sede penale,
nel corso delle indagini preliminari, ancorché non confermate in sede dibattimentale, come ogni altro
genere di indizi (purché siano gravi, precisi e concordanti).
Per cui la difesa del lavoratore dovrebbe replicare all’ipotetica eccezione da cui è partito il
ragionamento – quella per cui il datore di lavoro desidera dedurre l’irrilevanza ai fini della
responsabilità civile della sentenza penale di applicazione della pena patteggiata – chiedendo di
spiegare perché, se in sede civile si dichiara non responsabile dell’infortunio sul lavoro, domandando
per l’effetto il rigetto della domanda di risarcimento, abbia chiesto al Giudice penale di punirlo
(applicando la pena concordata con il Pubblico Ministero) anziché difendersi e combattere per
l’accertamento della propria innocenza. Sarebbe, questo, un preciso onere probatorio del convenuto,
necessario presupposto per una sentenza civile di rigetto della domanda di risarcimento.

Avv. Mauro Dalla Chiesa

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